La Carta di Londra


per la visualizzazione digitale dei beni culturali

Articolo del 19 Agosto 2018, scritto da Donato Maniello

La democratizzazione degli strumenti digitali ha reso possibile il loro utilizzo ad un vasto panorama di utenti. La continua sperimentazione, in primis avvenuta in campo artistico, ha fornito nel tempo interessanti risultati sia sui limiti che sulle loro potenzialità di utilizzo. Nel sempre più veloce e rapido sviluppo delle ICT è necessario volgere lo sguardo anche a strumenti teorici e metodologici in nostro possesso da utilizzare come base per lo sviluppo di un senso critico e mediato nell'utilizzo delle tecnologie nel campo dei beni culturali, in particolare nel campo dell'archeologia virtuale. Campo, quest'ultimo, su cui si sono riversate moltissime delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali. La regola, non detta ma tacitamente condivisa, che favorisce di fatto le creazioni digitali solo perchè realizzate attraverso il medium contemporaneo è ardua da scalfire in quanto difficilmente se ne criticano qualità, limiti e in molti casi vacuità: il rischio è quello di non essere “nel tempo”. Nella sempre più crescente smaterializzazione della realtà attraverso per esempio l'uso delle scansioni 3D, diventate oramai a portata di smartphone grazie a tecniche di SFM (Structure For Motion), una delle conseguenze è stata che l'utilizzo massivo di tali strumenti ha portato alla creazione di forme di memoria digitale preventiva e conseguentemente all’immagazzinamento di una grande mole di dati. Di fatto si è privilegiato spesso il rapporto virtualizzazione/visualizzazione alla creazione/comunicazione con implicazioni spesso di natura pratica e filosofica relative alla proprietà dei dati; al rapporto tra reale, virtuale e la sua rappresentazione.


Scansioni 3D come forma di memoria digitale preventiva.


Filosofi come Jean Baudrillard ha posto basi fondamentali per comprendere il rapporto reale/virtuale soprattutto nel mondo contemporaneo votato alla proliferazione degli schermi e delle immagini. Ed è proprio delle immagini o meglio della visualizzazione di queste, che nel 2008 veniva redatto, in diverse lingue, il testo de La Carta di Londra - Per la visualizzazione digitale dei beni culturali le cui fondamenta furono poste già nel 2003 attraverso la La Carta sulla Conservazione del Patrimonio Digitale dell'UNESCO. Entrambe sono state recepite nel 2009 dalla Carta di Siviglia, giunta nel 2011 alla sua versione finale, che ha la finalità di rendere attuativi i contenuti della Carta di Londra. Grazie al sempre crescente utilizzo del virtuale nel campo dell'archeologia nasce infatti l'archeologia virtuale e con essa anche le problematiche relative alla scientificità di approccio nella comunicazione al fine di assicurare che i metodi della visualizzazione digitale siano applicati con lo stesso rigore accademico di altri campi di ricerca più affermati. Essa, riconoscendo i sempre più crescenti mezzi disponibili per la visualizzazione digitale ed anche i relativi campi[1], cerca di far dipendere, nei 6 Principi di cui è composta l’integrità intellettuale degli stessi metodi e risultati applicati alla divulgazione dei beni culturali esclusi l’arte, la moda e il design. Il problema, infatti, è individuato nella consapevolezza che: “anche se per certi scopi la visualizzazione può superare un testo in potenza espressiva, il suo valore esplicativo può essere inferiore. Non importa con quanta cura una questione di ricerca si ponga in relazione al relativo campo di conoscenza, quanto scrupolosamente le fonti disponibili siano state studiate e interpretate, con quanto discernimento o creatività un argomento venga elaborato visivamente; per lo spettatore, un’immagine finita, da sola, non rivela il processo con il quale è stata creata”.


Dalla realtà all'iper-realtà.


In particolare un passo del Principio 2 afferma che “un metodo di visualizzazione digitale dovrebbe normalmente essere usato solo quando è il metodo disponibile e più appropriato per quello scopo”. Nella realtà dei fatti la Carta di Londra, troppo spesso sconosciuta ai nuovi operatori multimediali, non essendo vincolante non ha prodotto nel tempo effetti considerevoli. Ciò ha consentito il proliferare di applicazioni, per la maggior parte virtuali, che hanno avuto lo scopo di accentrare nella tecnologia il solo risultato, delegando all’interattività un sistema di libertà programmata che attraverso l’abolizione del “phatos” della distanza, ha reso tutto indecidibile. Ciò che Jean Baudrillard definiva effetto Larsen generalizzato che priva l’avvenimento della sua dimensione storica e lo sottare alla memoria[2]. Nel labile confine tra comunicazione e spettacolarizzazione nel campo delicato e ancora del tutto aperto della valorizzazione dei beni culturali, la tautotecnologia sta permettendo la proliferazione di simulacri, di copie perfette da cui non è quasi più possibile il discernimento con l’originale, trasformando così la realtà in iper-realtà. Nella rivalutazione del patrimonio culturale l’aver sperimentato su più livelli scelte progettuali e ambiti comunicativi differenti, ha fornito di interessanti strumenti l’operatore multimediale che oggi ha la responsabilità di scegliere il mezzo più consono in relazione ai costi/benefici di progetto.


Dall'oggetto [sovra]esposto all'oggetto narrato.


Perché la sperimentazione continui in modo proficuo è necessario dotarla di un supporto teorico di riferimento che già esiste e che è doveroso diffondere al fine di indagare cause ed effetti secondo una tecno-cultura che subordini l'apparato multimediale al contesto e non viceversa. Timore, questo, più volte profeticamente sottolineato anche da altri autori[3]. La Carta di Londra e La Carta di Siviglia hanno in sé grandissime potenzialità ancora inespresse che se diffuse e applicate renderebbero più interessante e prolifico il dibattito sull'opportunità di alcune scelte[4]. Molte delle applicazioni create potrebbero essere riviste alla luce di tali considerazioni perchè spesso sono state il frutto di mode dominanti unite all’assenza di una progettualità culturale in ambito digitale e all’assioma per cui il mezzo digitale è sempre e comunque giusto a prescindere in quanto strumento contemporaneo. Essa parla inoltre di scientificità dei contenuti, della loro conservazione, trasmissione e archiviazione ai posteri che non significa opporsi al mezzo ma al contrario dotarlo di una completezza umanistica e metodologica che troppo spesso manca. Accade infatti che nella frenesia di dimostrare di essere “nel tempo” si subordini i contenuti al contenente e si elegga a trofeo l’oggetto culturale perdendo l’occasione di trasformarlo da “oggetto esposto” a “oggetto narrato”[5].


[1] Brusaporci, S., Trizio, I. (2013). La "Carta di Londra" e il patrimonio architettonico: riflessioni circa una possibile implementazione. SCIRES SCIentific REsearch and Information Technology. Vol 3, Issue 2.

[2] Baudrillard, J. (2005). Violenza del virtuale e realtà integrale. Milano: Mondadori Education, Le Monnier Università.

[3] Balzola, A., & Rosa, P. (2011). L'arte fuori di sé. Milano: Feltrinelli

[4] Gabellone, F. (2012). La trasparenza scientifica in archeologia virtuale: una lettura critica al principio N.7 della Carta di Siviglia. SCIRES SCIentific REsearch and Information Technology. Vol 2, Issue 2.

[5] Rosa, P. (2011). Dai musei di collezione ai musei di narrazione. Disegnarecon, Tecnologie per la comunicazione del patrimonio culturale, vol. 4, n. 8, pp. 129-138.