Questo non è un video mapping e quello non è Van Gogh


Pseudo-valorizzare i centri storici con effetti globali stellati

Articolo del 7 Aprile 2019, scritto da Donato Maniello

La Notte stellata di Van Gogh illumina Trani con il videomapping”. Questo il titolo di un articoletto apparso su un noto quotidiano on line che ad un'attenta lettura è contraddetto da quanto scritto successivamente dallo stesso autore. Nelle righe successive egli scrive più correttamente di “ispirazione” all'opera di Van Gogh e non più di video mapping ma di semplici proiezioni che ricordano quelle a tema natalizio. Le stesse, per intenderci, che uniformano i nostri bellissimi centri storici con effetti a “pan di stelle” che li rendono perfettamente uguali gli uni agli altri. Cambia stagione, cambiano gli effetti - che cercano di mimare un'opera d'arte con risultati sgraziati che nulla hanno a che vedere con l'originale - ma il risultato è il medesimo. Un luna park mediatico il cui unico “successo” è a tutto vantaggio del selfie tra turisti fotografi e curiosi che cercano di immortalare la loro effige in un centro storico inquinato dal risultato fuorviante e semplicistico di queste proiezioni. Nessuno storytelling, nessuna idea alla base, nessuna tecnica. Solo corrente a 220 v, un proiettore (non un video proiettore che avrebbe significato uno sforzo cognitivo maggiore), effetti gobos che mimano qualcosa e il successo del pubblico è assicurato. Tali semplificazioni dimostrano quanta confusione c'è nell'utilizzo di tali strumenti e l'occasione è importante per rispondere ad alcune domande: cosa è realmente video mapping? E' corretto chiamarlo così? Che differenza c'è tra una semplice proiezione e il video mapping? Entrambe possono essere definite video mapping? Quello che è proiettato (si ribadisce non video proiettato) è Van Gogh? In questa sede si cercherà di rispondere a tali quesiti dimostrando che la maggior parte di ciò che gravita attorno al mondo delle video proiezioni non solo non è corretto ma il più delle volte basato su assunti sbagliati che portano conseguentemente a confonderne i risultati (esattamente come accade nel campo della olografia confusa, in alcuni casi volutamente, con la tecnica del Pepper Ghost's). Tali premesse sono indispensabili per porre chiarezza sia sulle definizioni che sui risvolti di tali azioni che hanno nelle “Mostre Experience” dei famigerati predecessori. Iniziamo dalle definizioni: “Nella Spatially Augmented Reality, l’ambiente fisico dell’utente è aumentato con immagini che sono direttamente integrate nell’ambiente dell’utente. Per esempio le immagini potrebbero essere proiettate sugli oggetti reali usando proiettori digitali, o integrati direttamente all’ambiente per mezzo di display a schermo piatto”[1].


Tante definizioni, la stessa tecnologia.


Era il 1998 e questa definizione è di Ramesh Raskar (inventore della femto-photography che permette di fotografare un trilione di frame per secondo), Professore Associato presso il MIT Media lab di Boston, colui che ha scientificamente posto le basi informatiche della “Spatial Augmented Reality” (di seguito SAR) indicata successivamente con diversi termini che identificano la stessa tecnologia da lui messa a punto. I più conosciuti sono: Mapping, Visual Mapping, Audio visual Mapping, 3D Mapping, 3D Projection Mapping, Projection Mapping, Video mapping, Dynamic Mapping, Architectural Dressing, Trompe l'oile digitale, Affreschi digitali, Disegnare con la luce, Live painting, Projected augmented Reality, Shader Lamps, etc.. In nessuna delle sue pubblicazioni si troverà mai un riferimento alle parole “video mapping” perchè giustamente l'aveva già correttamente collocata nella categoria della realtà aumentata perchè rappresentandone una particolare forma è li che trova il suo posto. La classificazione operata da Milgram con il diagramma che porta il suo nome[2] basterebbe a comprendere con semplicità questa definizione. Travalicare lo schermo tradizionale è significato “spazializzare” i contenuti, “aumentando” la realtà e “mappandone” lo spazio e la SAR è stata fautrice di questo cambiamento in quanto ha reso possibile adattare i contenuti su qualsiasi superficie (2D e 3D), trasformando qualsiasi spazio in uno schermo dinamico. Le pubblicazioni[3] ad opera di Ramesh Raskar dimostrano quanto lontano egli abbia potuto vedere nel futuro, ipotizzando gli usi della SAR in settori che oggi diamo per scontato per questa tecnologia “liquida”. Non esiste infatti al mondo una tecnologia che abbia avuto così tante definizioni nessuna delle quali riconducibile a quella proposta dal suo ideatore. Nel tempo le molteplici definizioni hanno indotto confusione nel comprendere pienamente cosa questa tecnologia è. E questo è uno dei motivi per cui si creano veloci e sbagliati parallelismi con gente sia esperta che non, che tende a confondere ogni semplice proiezione su un edificio, fosse anche quella di un proiettore o di una torcia, con la SAR. La questione terminologica è fondamentale in quanto a partire da essa è possibile individuare il campo di applicazione e coerentemente svilupparne i contenuti. Sebbene il termine SAR risulti il più corretto per identificarla, in quanto si ribadisce rappresenta a tutti gli effetti una particolare forma di realtà aumentata, il termine universalmente riconosciuto e più utilizzato è stato “video mapping”.


Il cinema, precursore della SAR.


Basta una semplice ricerca su Google trends per verificarlo. Ciò non significa che sia corretto solo perchè più utilizzato, tutt'altro. Come è facile verificare, su alcune di queste “definizioni” ricadono presunti copyright di tipo commerciale in quanto superficialmente si è pensato che dando una propria definizione alla tecnologia (pensando non esistesse già) si potesse anche essere riconosciuti come gli ideatori della stessa e quindi come unici, o presunti tali, utilizzatori. Può sembrare paradossale ma non lo è. E' capitato infatti di essere contattato da colui che si riteneva l'ideatore di una delle definizioni di cui sopra, che minacciava una denuncia per violazione del diritto d'autore se non avessi tolto il termine da lui “inventato” dal titolo di una mia conferenza. E' bastata una semplice ricerca per dimostrare l'infondatezza della richiesta. Lo stesso termine, con una connotazione simile ma diversa perchè utilizzato in epoche diverse, compariva nel “Manuale dell'architetto” di inizio '900. E' bastato questo e l'invito a registrare il marchio della “sua” invenzione terminologica perchè scomparisse nell'oblio. Ciò che è successo rafforza l'idea che essendo i risvolti commerciali di gran lunga superiori alle finalità di utilizzo, è nata intorno alla SAR molta improvvisazione corroborata non solo da professionisti improvvisati, studenti di accademie, workshop, artisti della luce etc.. ma soprattutto da services video che hanno tentato di monopolizzare il mercato (soprattutto quello degli esordi) sostituendosi al progettista e offrendo pacchetti “all inclusive di WOW Effect!”. Si è quindi confusa la penna con la scrittura, lo strumento con il contenuto. Se a questo ci si aggiunge il livello sempre più marcato di inquinamento di immagini in cui si trova l'osservatore contemporaneo, si capisce come mai questi eventi trovano sempre più consenso da parte di un pubblico generalista e probabilmente poco incline ad entrare in un Museo o viaggiare fino ad Amsterdam per vedere realmente e dal vivo i capolavori di Van Gogh. E' interessante notare come prima del 2005 (anno in cui Ramesh Raskar ideava il termine SAR) nessuno ne aveva proposto una definizione. E' molto probabile che chi la utilizzava, seppur in modo embrionale e ancora sperimentale, non si era mai posto in realtà il problema di darne una definizione perchè, probabilmente, riteneva tale tecnologia una naturale estensione ed evoluzione del cinema. In via del tutto teorica infatti il cinema è la forma più elementare e basilare di SAR. Sono video proiettati i contenuti su una superficie piatta che possono adattarsi attraverso la funzione keystone su una superficie comunque orientata nello spazio. Il termine tecnico e riduttivo di “video mapping” (in italiano video mappare o video mappando) sposta il significato più sul mezzo, per l’appunto il video e sulla tecnica del “mappare” (in analogia con le modalità con cui si creano le mappe geografiche), che non sulle modalità in cui i contenuti si connettono alla realtà, modificandola e aumentandola. Sicuramente è stato il più utilizzato sia a causa di tale similitudine che per ragioni di tipo commerciale ed infine perchè essendo stata vista sin dagli esordi come una materia prettamente artistica e non anche scientifica (sbagliando) pochi si sono sentiti motivati a documentarsi sufficientemente.


Omotetia, omografia e anamorfosi: le basi della SAR.


Un altro elemento fuorviante è stata la presa di posizione nel tempo, senza nessun tipo di giustificazione, di considerare realtà aumentata solo quella mediata tramite smartphone. Eppure oggi fa sorridere pensare ai QR code come realtà aumentata (sarebbe più corretto chiamarla realtà linkata), eppure dieci anni fa si chiamava così. Infatti sebbene la realtà può essere “aumentata” attraverso vari dispositivi come uno smartphone, una webcam, dei sensori, degli auricolari nel caso della SAR il QR code coincide con le maschere di livello che sono successivamente proiettate per aumentare i contenuti[4]. Si può infatti asserire con estrema certezza che la SAR, ad oggi, abbia rappresentato la più significativa forma di realtà aumentata prima che tecnologie come i Google Glass (che è più una forma di realtà layerata alla stregua di contenuti visibili su un cellulare posti davanti agli occhi) e gli Hololens (che invece ad oggi rappresentano un promettente caso di AR o meglio di MR cioè Mixed Reality) attirassero l’attenzione del pubblico monopolizzandone il significato. Infatti uno dei presupposti della realtà aumentata è il riconoscimento spaziale del mondo fisico circostante e quindi la possibilità che i contenuti virtuali “dialoghino” con lo spazio circostante. Per questo motivo sia i Google Glass che il famoso video gioco dei Pokémon Go non possono essere annoverati nel campo della realtà aumentata ma in quello dell'irrealtà aumentata, sebbene siano entrati nell'immaginario collettivo come esempi virtuosi di AR. Inoltre la SAR basandosi su tre trasformazioni geometriche – l’omotetia, l’omografia e l’anamorfismo – corrispondenti ad altrettante fasi di lavoro che consentono di far coincidere il modello virtuale su quello reale, rende molto più restrittivo e verificabile un suo utilizzo. L’omotetia è una particolare trasformazione geometrica del piano o dello spazio che dilata o contrae gli oggetti, mantenendo invariati gli angoli, ossia la forma. L’omografia è una relazione tra punti di due spazi tali per cui ad ogni punto di uno spazio corrisponde uno ed un solo punto del secondo spazio. L’anamorfismo, invece, è una trasformazione che crea un effetto di illusione ottica per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile soltanto guardando l’immagine da una precisa posizione. La tecnica è nota da secoli e fu utilizzata da molti artisti. Ne è un esempio emblematico l’opera “Ambasciatori” del 1533 di Hans Holbein il Giovane nella cui opera si nota in basso una figura non facile da decifrare. Per capire cos’è bisogna distorcere la visione dell’immagine fin quando si comprenderà che la figura in questione (l’oggetto alla base dei due soggetti) è un teschio. Un altro esempio di anamorfismo è l’affresco nel soffitto della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio a Roma (1685) di Andrea Pozzo, in cui il virtuosismo dell’artista permette di adagiare i corpi su superfici tridimensionali, deformandoli a tal punto che guardati da uno specifico punto di vista questi appaiono corretti.


Trani e il lifting digitale dei centri storici: la glostarizzazione.


Quando infatti coesistono contestualmente queste tre trasformazioni geometriche solo allora sarà possibile parlare correttamente di SAR. E quindi “mappare” o “aumentare”? La questione è di tipo ontologico e tassonomico ma chi opera nel campo scientifico sa bene come la correttezza intellettuale sia alla base della propria ricerca. Per questo motivo sia nelle mie pubblicazioni che nei libri da me scritti ho sempre voluto che il termine SAR, o di AR, fosse presente sin dal titolo. In aggiunta a quanto scritto da Ramesh Raskar sulla SAR altro elemento, che egli da scienziato ovviamente non affronta, sono le tipologie e la qualità dei contenuti che si video proiettano perchè essi plasmano il significato complessivo dell'intervento. Alcuni di questi infatti possono funzionare bene visualizzati su di un monitor ma nella realtà, quando cioè i contenuti virtuali incontrano quelli reali, potrebbero non funzionare più. Questo è uno dei motivi di improvvisazione in questo campo perchè la sensibilità ad immaginare “cosa sarebbe” si sviluppa solamente con l'esperienza e con un costante allenamento di senso immaginifico, di studio e di ampliamneto del proprio atlante visivo. Se infatti nella ideazione delle narrazioni digitali “non si usa correttamente il supporto materico l'installazione diventa un cinema nel posto sbagliato e se il dialogo tra supporto e tecnica si interrompe il supporto stesso scompare, rimanendo inghiottito dalla video proiezione o dalla proiezione stessa” [5]. Per questi motivi le proiezioni a “pan di stelle” - o che simulano per surrogazione “la notte stellata” - non dialogando con il supporto e utilizzando solamente la trasformazione omotetica (zoom per intenderci) non solo è sbagliato annoverarle nel campo del “video mapping” (per utilizzare il termine dell'articolo) ma non fanno altro che produrre un vuoto culturale facilmente colmato da quello che il pubblico generalista si aspetta di vedere senza che ci sia alla base una finalità culturale ma solo commerciale. Per quanto riguarda l'altra questione relativa al perchè non è Van Gogh è molto semplice e facilmente verificabile. Basterebbe confrontare le pennellate reali del suddetto quadro (anche fosse una semplice fotografia) con quanto queste proiezioni millantano per verificare a che grado di semplificazione si è arrivati, a tal punto che l'elemento originario è riconoscibile solo perchè stimolato e supporttato dai titoli di giornale e dalla pubblicità. La stessa operata dalle “Mostre Experience” di cui questi sono inquietanti esperimenti di omologazione urbanistica, cui ci si dovrà aspettare a breve una trasmigrazione per osmosi nei Musei al fine di “portare i giovani” esattamente come fu fatto con il famigerato videogioco dei Pokémon Go poi frettolosamente dimenticato dopo meno di un mese dalle istituzioni museali che lo avevano utilizzato. Sarebbe opportuno visto il loro dilagare nei centri storici di pregio, diffondere una cultura della luce riportando le cose nelle loro giuste dimensioni. Van Gogh si vede in un Museo il resto è surrogato, semplificazione che porta ad altra semplificazione che è giusto evidenziare. E' auspicabile e necessaria una presa di posizione sulle loro finalità e che in futuro simili progetti passino al vaglio di apposite commissioni di esperti. Il mezzo tecnologico infatti determina i caratteri strutturali della comunicazione e produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Questa è la teoria di Marshall McLuhan alla base della sua celebre tesi secondo cui "il medium è il messaggio"[6]. Tale espressione ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai criteri strutturali in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis.  Quindi anche proiettare, o video proiettare, non è mai un atto neutrale. Il centro storico di Trani, ma in generale tutti, non hanno bisogno di un semplicistico lifting seppur digitale perchè il loro valore non è accresciuto da simili azioni, in quanto la creatività culturale non nasce dalla tecnologia in sé, ma dall’attività intellettuale che si avvale degli strumenti tecnologici per creare contenuti originali. E questi evidentemente non lo sono è solo “glostarizzazione”[7] ovvero la globalizzazione degli effetti stellati che possono essere utilizzati sia a Trani sia a Timbuktu con il medesimo risultato.


[1] Raskar, R., Welch, G., & Fuchs, H. (1998). Spatially Augmented Reality. In Proceeding of the First IEEE Workshop on Augmented Reality (p. 63-72). San Francisco, USA Technologies (vol. 2351, pp. 282-292). Bellingham, USA: Hari Das.

[2] Milgram, P., Takemura, H., Utsumi, A., & Kishino, F. (1994). Augmented Reality. A class of displays on the reality-virtuality continuum. In Telemanipulator and Telepresence.

[3]

Raskar, R., Welch, G., & Chen, W.C., (1999). Table-Top Spatially-Augmented Reality: Bringing Physical Models to Life with Projected Imagery. In Proceeding of the First IEEE Workshop on Augmented Reality. Washinton DC, USA

Raskar, R., Welch, G., Kok-Lim Low & Deepak Bandyopadhyay, (2001). Shader Lamps: Animating Real Objects With Image-Based Illumination. In 12th Eurographics Workshop on Rendering (EGWR) London, June 25-27, 2001, University College London (UCL)

Oliver, B., Raskar, R., (2005). Spatial Augmented Reality. Merging real and virtual world. A K Peters Wellesley, Massachussets.

[4] Maniello, D. (2014). Realtà aumentata in spazi pubblici: tecniche base di video mapping. Vol.I. Brienza: Le Penseur.

[5] Riporto fedelmente quanto mi ha scritto in occasione di un nostro recente confronto su tale disciplina la prof.ssa Sandra Lucente, Ricercatrice di Analisi Matematica presso l'Università degli Studi di Bari, Aldo Moro.

[6] McLuhan, M., Fiore, Q. (1967). Il medium è il messaggio. Milano: Feltrinelli.

[7] Questo termine è stato ideato per questo articolo per identificare l'uso globalizzato e la conseguente omologazione visiva relativa all'utilizzo degli effetti stellati in uso ai proiettori.