Memoria digitale preventiva


Presenza vs. assenza, copia vs. originale

Articolo del 24 Settembre 2018, scritto da Donato Maniello

"Come la donna amata che dalla riva del mare segue con gli occhi colmi di pianto l'amato che si allontana... anche a me...resta solo l'ombra dell'oggetto dei miei desideri...per cui io osservo le copie degli originali con maggiore attenzione di quanto farei se fossi in pieno possesso di quelli". Così Winckelmann, a circa metà del '700, parlava della copia nell'antichità in un passo incluso nel finale del suo libro Storia dell'arte nell'antichità. Il problema delle copie è sempre esistito fin dall'antichità e in questo passo egli lo dimostra chiaramente. I Romani hanno copiato vaste collezioni greche e non era inusuale a quei tempi coprire di pece le statue più rappresentative per ricavarne calchi, oppure commissionare ad una bottega di copisti un lavoro, in quanto esse possedevano calchi di gesso di opere greche famose. Oggi avviene, seppur in modi e con finalità differenti, quello che avveniva in passato. Riproduciamo copie ed è ancora più semplice vista la facilità con cui le tecnologie delle scansioni e della stampa 3D sono diventate democratiche. In passato si copiavano le opere non per le ragioni per cui lo facciamo oggi, esse servivano per adornare i luoghi pubblici o case patrizie e il concetto di originalità non era un elemento primario e copiare era considerato normale. Concetti quali copyright e aura benjiamiana non erano assolutamente contemplati ed anzi il discostarsi dal modello originario, sia per ragioni strutturali (ad esempio il passaggio da materiali come marmo e bronzo) che per la reinterpretazione di alcune parti, pongono in essere aspetti fondamentali della cultura dell'epoca. Copiare o replicare infatti non sono azioni ingenue ma anzi rappresentano forme di mediazione con la cultura dell'epoca[1]. Pratiche come l'interpretatio, l'imitatio e l'aemulatio teorizzata da Arno Reiff[2] nel 1959 in ambito letterario hanno interessanti conseguenze se estese alle arti plastiche. Sono categorie attuali con le quali discernere le finalità di una copia. L'interpretazio è la copia fedele, si copia ciò che appare senza nessun tipo di mediazione (l'unica potrebbe essere la risoluzione di scansione che determina o meno l'accuratezza del risultato finale); l'imitatio è una versione libera (da escludere a priori per scopi scientifici); mentre l'aemulatio comporta un'interpretazione creativa solo dopo aver assimilato le caratteristiche del modello (quest'ultima utilizzata ad esempio nell'atto di ricostruzione di parti mancanti di una copia come avvenuto per la ricostruzione di parte dei volti dei busti palmireni).


Memorie storiche in archivi cibernetici.


Rapportandoci al presente, stiamo giustamente proteggendo i dati archeometrici provenienti da scansioni 3D in hard disk che possiamo utilizzare in futuro al bisogno per essere utilizzati per la visualizzazione o per creare copie. Dal Progetto Gutenberg, primo progetto di conversione digitale di testi degli anni ‘70, alla recente piattaforma on line di Europeana si crea cultura digitale condividendone le risorse applicando ai processi di conservazione del passato i metodi computazionali usati per i “big data”. Ovviamente questo modo univoco e massivo di relegare al mondo virtuale dati materici reali porta con sè diverse conseguenze: da un lato abbiamo monumenti cristallizzati nei loro dati virtuali; dall’altro siamo portati a credere che in quanto tali siano inattaccabili e invulnerabili; la copia di copie è una copia diversa dalla copia stessa (se si perde il dato grezzo di partenza); infine chi detiene i diritti di utilizzo di queste copie? Intuendo spesso il valore critico di alcune azioni contemporanee, conservazione e valorizzazione risultano fondamentali solo se non si attribuisce a quest’ultima l’unica via della conservazione. È in atto infatti la creazione di un mondo in cui l’utilizzo del mezzo digitale sta velocemente passando dalla scomposizione della realtà ad una memoria digitale preventiva che spesso si configura come l’unico mezzo di conservazione. Al di là della diatriba tra “dare valore” e “valorizzare”, cioè la differenza tra il bisogno di perseguire una presa di coscienza del bene in sé o la tendenza a comunicare tale valore verso l’esterno, è chiaro come entrambi questi gesti abbiano come fine lo sviluppo di una consapevolezza del bene e, come conseguenza, il rafforzamento dell’identità culturale. Ci troviamo di fronte a memorie storiche che per incuria o mancanza di fondi deperiscono nel tempo, mentre si attua su di loro una valorizzazione che di fatto non ha nessuna conseguenza sulla conservazione che deve rimanere principalmente un’azione materica e non solo virtuale come invece sta accadendo negli ultimi anni. In itinere interessanti iniziative di memoria digitale preventiva nate per contribuire a preservare il nostro patrimonio globale: Rekrei, un progetto comunitario per raccogliere fotografie di monumenti, musei e manufatti danneggiati da disastri naturali o interventi umani e utilizzare questi dati. Dalle ceneri dei Buddha e da quelle dalla città iraniana di Bam, rasa al suolo da un terremoto nel 2003, è nata CyArk (dalle prime sillabe di “archivio” e “cibernetico”), una vera e propria arca digitale per la tutela dei beni storici distrutti da terrorismo, incendi, terremoti, alluvioni, incuria, erosione. Il progetto è diventato man mano più grande divenendo CyArk500 che ha il fine di scansionare 500 siti in 5 anni; ad oggi è stata completata la scansione di più del 20% dei siti individuati.


Dai "big data" ai "cultural data".


Nella creazione di questa enorme banca dati, denominata nel 2007 “cultural data” da Lev Manovich, ossia riproduzioni in formato digitale, e con la conseguente infinita riproducibilità delle opere, non ci si può non interrogare su alcune conseguenze di tipo etico. Non a caso diversi autori hanno profetizzato il passaggio crescente da beni culturali “materiali” a “cultural data”[3][4]. Quale che sia la scala dell’oggetto in questione la scansione in 3D rimane di grande importanza, con inaspettate e nuove conseguenze in seno alla diffusione dei contenuti multimediali. È il caso della scansione 3D del celebre busto della regina Nefertiti - una delle opere dell’antico Egitto più imitate - presente presso il Neues Museum di Berlino, effettuata nell’ottobre del 2015 con una Kinect, in violazione le regole sul copyright dagli artisti Nora Al-Badri e da Jan Nikolai Nelles. Il file relativo alla scansione, qualche mese dopo, è stato pubblicato su internet e messo a disposizione della collettività che ora può realizzare una riproduzione fedele del busto in questione. Questo gesto di sfida offre spunti interessanti sul cambiamento dei paradigmi di fruizione nel futuro in relazione alle modalità di condivisione dei beni culturali nell’era digitale, che possono diventare non esclusivi e in quanto tali riproducibili all'infinito. La Germania si è sempre sottratta alle richieste avanzate dall’Egitto per il rimpatrio del reperto trasformando il manufatto, dicono gli artefici della scansione, in un’icona culturale tedesca che di fatto rimanda a una vecchia «concezione coloniale» tipica dell’Occidente. Esso è stato ufficialmente scansionato in 3D dal museo di Berlino già nel 2011, ma i dati non sono stati condivisi e sono serviti alla gipsoteca di Berlino per creare una serie limitata di cento esemplari del busto in questione. Dal febbraio 2010 è inoltre proibito scattare foto, una misura cautelativa per proteggere i pigmenti colorati, rovinati dai troppi flash.


Dai "cultural data" ai "shared cultural data".


La scultura è comunque da tempo una delle opere dell’antico Egitto più imitate e grazie ai dati diffusi online dagli artefici della scansione ed ora chiunque può realizzare una riproduzione molto fedele del busto. Parafrasando la celebre frase di McLhuan potremmo dire “la copia è il messaggio" e diventa quindi necessario e incipiente comprendere e studiare le implicazioni che avrà questa modalità di utilizzo delle informazioni sapendo che anch'esse generano una forma mentis, proprio perchè nessun medium è neutrale e neppure la copia digitale in sé lo è. Una delle conseguenze è che spesso il bene reale finisce per essere un oggetto da replicare all’infinito su cui insiste una quasi maggiore curiosità rispetto all’originale, come se la virtualizzazione del bene o la sua fruizione con mezzi digitali generasse, agli occhi dell’utente, coincidenza di valore o in alcuni casi perfino un peso maggiore[5]. Consentire il download in alta risoluzione delle copie da parte di quei musei che hanno virtualizzato le loro collezioni come ha fatto il Rijksmuseum di Amsterdam con il Rijksstudio, è un atto auspicabile che darebbe senso alla ormai frettolosamente dimenticata rivoluzione open source digitale. Preservare la realtà scansionando e archiviando solamente i dati, se da un lato è auspicabile in quanto consente di ricostruire collezioni andate irrimediabilmente distrutte (come avvenuto nel recente incendio del Museo Nazionale di Rio in Brasile), rischia dall'altro di generare un mondo parallelo che dobbiamo proteggere con la stessa cura di quello reale. I cultural data dovranno basarsi sempre di più sulla rispondenza ad elevati livelli di professionalità, democratizzazione e condivisione. Per questo è necessario iniziare a discutere concretamente di “shared cultural data” per evitare che ci si trovi nel paradosso, anche abbastanza concreto, di avere difficoltà nello stabilire univocamente a chi apparterranno i dati culturali di un bene se questo dovesse andare irrimediabilmente distrutto o perso: saranno di proprietà di chi ha eseguito le scansioni, della committenza o dell'umanità tutta?


[1] Pucci, G. (2008). Verità della copia nell’estetica antica. Verità dell’Estetica, Società Italiana d’Estetica.

[2] Reiff, A. (1959). Interpretatio, imitatio, aemulatio: Begriff und Vorstellung literarischer Abhängigkeit bei den Römern. (Doctoral dissertation). Università di Colonia, Germania.

[3] Mudge, M., Ashley, M., & Schroer, C. (2007). A digital future for cultural heritage. In XXI International Symposium. Athens: CIPA.

[4] Asher Silberman, N. (2014). From Cultural Property to Cultural Data: The Multiple Dimensions of “Owner- ship” in a Global Digital Age. International Journal of Cultural Property, 21, 3.

[5] Baudrillard, J. (2005). Violenza del virtuale e realtà integrale. Mondadori Education: Milano.