Cortocircuiti visivi


La True Reality (TR), ovvero la realtà vera

Articolo del 4 Dicembre 2018, scritto da Donato Maniello

Chi opera nel campo della comunicazione visiva conosce bene i vari acronimi che hanno definito il delinearsi degli attuali stati di realtà mediata tecnologicamente (AR, VR, MR, ER). Più volte nel corso del tempo ci si è interrogati su cosa fosse la realtà ed non deve meravigliare questa tematica in quanto parlare di SAR significa anche interrogarsi su questioni più ampie che travalicano la sola tecnologia. Sebbene non abbiamo nessuna idea di come le prossime generazioni useranno la tecnologia, e cosa ci permetterà di fare, possiamo formulare solamente delle ipotesi. Il mito della caverna di Platone, raccontato all'inizio del libro settimo de La Repubblica, uno dei testi universalmente riconosciuti come fondamentali per la storia del pensiero e della cultura occidentale, che ritorna quasi in ogni epoca e in relazione alle tecnologie, dimostra come l'essere umano ha sempre messo in dubbio l'idea di ciò che è reale. Negli anni Novanta ad esempio l'epistemologo Karl Popper, avvertendo il pericolo cui la nuova umanità stava andando incontro, sostituì le catene arrugginite descritte nel mito con i comodi salotti e la tv; il filosofo Jean Baudrillard teorizzava il postmodernismo sostenendo che le società post moderne siano caratterizzate da un’ “implosione”, ovvero una de-differenziazione generale, e che gli individui fuggano dal “deserto del reale” per provare le estasi della iper-realtà, il nuovo regno in cui i computer e i media forniscono esperienze più intense e coinvolgenti rispetto alla vita di tutti i giorni. In un noto aforisma affermò che: “La tecnologia sta diventando lo strumento ironico di un mondo che immaginiamo nostro solo per trasformarlo e dominarlo”. Nel 2003 il filosofo svedese Nick Bostrom postula il cosiddetto Simulation Argument e con l'assunto “Stai vivendo in una simulazione al computer?” sfida il mondo a confutare l'ipotesi per cui l’umanità crede, sì, di vivere in una realtà effettiva, mentre invece si muove solo in uno scenario simulato da qualche programmatore nettamente “più evoluto”. L’argomento ha suscitato grande dibattito e poggia sui programmi di simulazione cosmologica e sulla convinzione che molto presto sarà possibile, e con relativa semplicità, simulare nel dettaglio la vita del nostro cosmo e di tutti i suoi abitanti. Ma parte del cambiamento nel modo in cui definiamo ciò che è reale oggi si trova all'interno della struttura dell'iper-connettività che ha facilmente stabilito su di noi una presa, creando così un nuovo spazio digitale che non è solo un'estensione delle nostre vite, ma potrebbe un giorno, sostituirlo.


Ciò che è digitale è reale e ciò che è reale è digitale.


Se ad esempio la realtà esiste all'interno del dispositivo della nostra epoca, allora non dovrebbe essere un problema che la Terra possa non esistere più. I nativi digitali non conoscono altre esistenze e ciò rende urgente la valutazione di ciò che è “reale” nel loro panorama. Una conseguenza di questo possibile scenario è il diventare sempre meno autonomi nella definizione dello stato di realtà in quanto le tecnologie, legandosi sempre di più e indissolubilmente alle cose e oggetti formeranno con essi un soggetto ibrido – oggi ancora di difficile definizione - che potrà essere a tutti gli effetti percepito come una nuova realtà. Siamo ad un passo dal considerare: “ciò che è digitale è reale e ciò che è reale è digitale” parafrasando il ben noto passo di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (l'aforisma originale è “Ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale”) con cui riassume quello che costituisce uno dei capisaldi del suo sistema, cioè l'identità tra Ragione e realtà. Il cambiamento tecnologico infatti è stato e continua ad essere più rapido della nostra capacità di metabolizzarlo[1] a tal punto che la definizione di realtà (attraverso discipline come la Computer Vision e Computer Graphics) solitamente legata alla speculazione filosofica ha visto grazie alle tecnologie, ulteriori espansioni di significato. Per questo motivo nei vari acronimi che definiscono come filtriamo la realtà attraverso la Computer Graphics, potrebbe risultare necessario definirne uno nuovo che indicherà la realtà non mediata tecnologicamente: potremmo definirla “True Reality” (TR) in cui cioè “il reale è vero reale” come se ci fosse bisogno di puntualizzarlo.


“True Reality” (TR) ovvero “il reale è vero reale”.


Computer Vision e Computer Graphics stanno modificando il concetto di iper-realtà facendola diventare a tutti gli effetti una loro categoria; entrambe ne definiscono di volta in volta i contorni, stabilendo così il dominio di un ecosistema digitale in continuo mutamento e aggiornamento. E' di qualche tempo fa un video in cui si ironizzava sul concetto di iper-realtà ma nella sua ironia faceva emergere alcune delle contraddizioni del mondo digitale. Nel video si parlava di “Actual Reality”. Nella “nuova categoria” della TR possono allora accadere cortocircuiti visivi inaspettati. É il caso delle cosiddétte Ghost Structures che per la loro originalità tendono a far coesistere l’anima di un’installazione artistica con la rigorosità storico/archeologica della ricostruzione. Sono chiamate così perché evocano in ambiente tridimensionale i volumi che sono andati persi o compromessi ma ricostruiti nella realtà. La computer grafica tridimensionale ci ha abituati al termine wireframe, e in effetti l'effetto finale è proprio questo ma nella TR non nella VR. Sono vari gli esempi di utilizzo virtuoso come in un caso non recente delle rovine del Tempio di Apollo a Veio oppure utilizzata nelle opere dello scultore coreano Do Ho Suh. Ma è solo qualche anno fa che il cortocircuito visivo determinato dalla bellezza reale di queste strutture è diventato di dominio pubblico grazie all'opera realizzata dall'artista italiano Edoardo Tresoldi a Santa Maria di Siponto (Fg), che di fatto realizza di colpo l'immersività simulata ovvero uno dei sogni della Computer Graphics applicata ai beni culturali, che permette di: visualizzare una ricostruzione, navigarci attraverso, al fine che tutto appaia come il reale. Solo che in questo caso è reale.


L'immersività è solo appannaggio del mondo digitale?


É possibile quindi creare coinvolgimento, questo strumento divenuto oramai fondamentale per chi si occupa di strategie per invogliare persone alla visita, anche con un'opera “analogica”? L'immersività è solo ad appannaggio del mondo digitale? Sembrerebbe di no visto il successo ottenuto a livello mondiale di questa installazione ma soprattutto un intervento che è risultato il migliore in termini di comprensione anche per i non addetti ai lavori, che si trovano di fatto immersi in un immenso spaccato assonometrico in cui cambiano le prospettiva di visualizzazione a seconda dei percorsi di visita che si fanno attraversando la struttura stessa. Altri esempi di immersività non mediata tecnologicamente, sono ad esempio le opere create dall'artista Oliver Oiwa che disegna con pennarelli paesaggi all'interno di mongolfiere. È ragionevole affermare quindi che approcci meno invasivi ed ibridi (tra analogico e digitale), allo stato attuale, per la loro semplicità di utilizzo e di fruizione sono spesso da preferire in ambito museale e archeologico. Al contrario invece, l’assioma per cui il mezzo digitale è sempre e comunque giusto a prescindere, in quanto strumento contemporaneo, deve essere messo in discussione a seconda dei casi e delle modalità con cui è attuato nella pratica. Nel tentativo di riprodurre la realtà oggettiva, la rappresentazione del reale si porrà sempre di più come strumento interdisciplinare che permetterà di aiutarci nella comprensione del presente facedo emergere qualità altrimenti invisibili. In questo stato di cose, la visione critica assumerà un ruolo fondamentale come strumento di analisi ma sopratutto di interpretazione della rappresentazione in epoca post-digitale[2], al fine di evitare di accettarne i risultati acriticamente soprattutto quando questi hanno fini divulgativi e scientifici.


[1] Ito, J., Howe, J. (2017). Al passo col futuro. Come sopravvivere all'imprevedibile accelerazione del mondo. Milano: Egea.

[2] Brusaporci, S. (2017). Della Rappresentazione in Epoca Post-Digitale. In Lineis Describere. Sette Seminari tra rappresentazione e formazione. (pp.47-59). Melfi: Libria.